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Giorgio si posiziona a poca distanza da un campanile discreto, diroccato. I rampicanti ne nascondono i volumi. La campana è ancora lì, immobile da decadi, verde come le edere che corrono lungo le bifore lassù in alto. Giorgio è seduto ad un angolo di strada e, inosservato, vive la sua libertà. Con gli occhi nel blocco da disegno, con la matita tra dita finalmente rilassate, finalmente lontane da tastiere e da pulsanti di azionamento, Giorgio vive la sua domenica, ricostruisce sé stesso, ritrova le sue energie. Potrà tornare ad essere un padre presente, un figlio attento, un lavorante efficiente. Potrà tornare ad esserlo domani, grazie ad un campanile ricostruito ora, su una pagina di carta.

 

Chi passa di lì ha sempre gli occhi rivolti al duomo, all’insegna luminosa del Bar Centrale, alla bancarella delle arachidi ferma all’angolo con Via Friselli. Chi passa di lì non si accorge mai di quel piccolo campanile, di quel frammento di età lontana reso fatiscente dal tempo, di quelle ossa di passato che una coperta d’edera sembra ora voler proteggere, quasi fossero fragili spalle di vegliardo. Chi passa ora di lì non si accorge di Giorgio, di quell'uomo vestito di chiaro. Ed è un peccato. Chi passa ora di lì potrebbe sostare per un momento e guardarsi attorno. Scoprirebbe allora un piccolo uomo in camicia e pantaloni color crema, impegnato a combattere contro un drago brutale, creatura sinistra e nemica dei nostri molti villaggi: l’ansia del fare e del produrre. Chi passa ora di lì, se solo si fermasse a guardare, potrebbe assistere alla vittoria di Giorgio vestito di chiaro, che a colpi di matita e pennello ritrova la pace, torna a respirare, vince il drago. Chi passa ora di lì potrebbe riscoprire l’esistenza di un campanile dimenticato, e osservandone le bifore avvolte da fogliame potrebbe tornare ad ammirarne la bellezza. Se solo si fermasse per un momento a guardare.

 

E’ domenica pomeriggio. 

Giorgio è solo.

Francesca e Monica sono la sua famiglia. E sono al centro commerciale.

La sorella Caterina è con mamma Donata. Oggi tocca a lei farle compagnia.

La copisteria dove Giorgio lavora è chiusa. Se proprio volesse entrarci, Giorgio dovrebbe forzare la saracinesca. Perchè oggi è giorno di riposo, oggi non si produce.

 

C’è chi per rilassarsi frequenta corsi di Hata Yoga. C’è chi trova l’evasione lungo i chilometri d’asfalto che corrono verso il mare. C’è chi riscopre un regolare respiro tra pagine di Gogol’ e sorsi di tè alla menta. C’è chi ama ritrovare sé stesso indossando una tuta da corsa e inseguendo le note sparate da auricolari in lattice. Molti si rilassano dormendo fuori orario, cucinando ciambelloni o ascoltando musica New Age.

 

Giorgio non fa nulla di tutto questo. Eppure rilassarsi gli riesce benissimo. Quando la domenica pomeriggio finalmente arriva, quando tutti gli obblighi di padre, marito, figlio e lavorante svaniscono, Giorgio si alza dal divano. Spegne la televisione. Infila la sua divisa della domenica preferita: una tuta da lavoro acquistata alcune primavere fa per ridipingere la casa intera. Eccolo, Giorgio. Eccolo, tutto vestito di chiaro. Camiciola alla coreana e pantaloni color crema. Abiti morbidi, ariosi, leggeri, estivi. E’ libertà. In un momento. Giorgio afferra allora la cartella da disegno. Si chiude il portone alle spalle munito di pennelli, colori, matite, gomma pane e blocco da disegno.

 

Quindici minuti neppure, ed è subito in centro. Il naso per aria, alla ricerca dell’ispirazione.

Un balcone in ferro battuto abbracciato da piante grasse.

Mani vecchie, attorcigliate attorno a manici di bastone o perse in gesti lenti, tutte lì, davanti all’ingresso del Bar Centrale. 

Uno scheletro di fontana non più zampillante, ormai silente, ormai ignorata dai più.

Giorgio osserva. E poi sceglie.

 

 

 

Giorgio e il drago

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