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Sono le 5.43 pm e James sosta lungo l’ultima linea di confine tra Trinity College e mondo di fuori. E’ lì, immobile, da 9 minuti. Intenzionalmente, non è arrivato alle 5.30 pm esatte. Puntuali sono gli sfigati che non hanno null’altro da fare. Puntuali sono gli infatuati capaci di trascorrere la giornata su un divano tentando una lettura e pensando in realtà al pomeriggio imminente. D’altra parte, arrivare esageratamente oltre le 5.30 pm, ad esempio alle 5.40 pm, sarebbe stato peggio. Non si arriva tardi soltanto a causa di imprevisti. Si arriva tardi anche quando un appuntamento non è l’Appuntamento ma solo uno dei molti impegni da ricordare.

 

Calcoli di James. Calcoli di un infatuato. Calcoli inutili. 

Sono le 5.43 pm e James attende, solo, seduto su un muretto.

 

Forse ha avuto un imprevisto. O forse per lei, quell’incontro è solo un paio di parole tra le righe fitte di una pagina d’agenda.

Una. Due.

Nell’attesa James conta biciclette. Solo quelle rosse però.

Tre. No, questa è bordeaux.

Questa sì. Tre.

 

Una bici nera sfreccia, attraversa il suo campo visivo.  E’ Conor, il collega di stanza, con quattro buste della spesa agganciate al manubrio. Conor. Il collega di stanza. Proprio adesso. Sicuramente Conor se ne è accorto, sicuramente ha visto James, perso in quello stato di pietosa angoscia, appollaiato su quel muretto triste, non molto diverso da un cane ingiustamente e crudelmente abbandonato alla sua misera solitudine. Sicuramente lo ha visto e ha sorriso maliziosamente senza fermare la sua corsa. Sicuramente, già si ripromette di animare il coffee break dell’indomani con spassose battute da condividere con i colleghi del piano intero. Sicuramente. Maledetto Conor.

 

Sono le 5.47 pm. 17 minuti di ritardo. James il ragazzo divertente che tutti vorrebbero essere, James che le ha sempre conquistate tutte e non gliene è mai importato nulla, James il collega brillante che piace al capo, James delle 5.47 pm con occhio fisso su Trinity Street e schiena sempre più desolatamente ingobbita.

Non avrebbe mai immaginato che sarebbe potuto arrivare, un giorno, a guardare l’orologio con terrore, a chiedersi dove poter nascondere quelle mani inutili e ciondoloni, a raddrizzare di tanto in tanto l’orlo dei pantaloni, a scrutare disperatamente una strada affollata, a pregare perché una testa bionda faccia la sua comparsa tra le decine a passeggio in quel maledetto pomeriggio di novembre.

 

Sono le 5.53 pm. E’ accaduto. Lui, James McClain, è stato abbandonato nel bel mezzo di Trinity Street. E’ ormai evidente. 23 minuti non sono più un ritardo trascurabile, sono un rifiuto da incassare. Ancorato al suo muretto, subisce affranto gli effetti della delusione. Una stretta all’altezza dell’epiglottide e un velo di pianto sugli occhi. Questi sconosciuti. James ricorda ancora molto bene le sue lacrime più recenti: aveva tredici anni, il costume e la cuffia della piscina della scuola; un primo podio gli era stato appena sottratto da tale Mark, per uno scarto di un secondo e diciassette.

 

Sono le 5.58 pm e James si chiede cosa stia aspettando ancora, lì da solo, ormai schiacciato dagli eventi all’angolo di quel dannatissimo muretto. Perso in pensieri confusi e rancorosi, osserva le foglie gialle e le biciclette parcheggiate. Guarda il cielo, che ha ormai cambiato colore. Butta un occhio sulla strada. Gli viene in mente che Conor potrebbe passare di nuovo lì nei paraggi, magari in direzione del loro pub abituale.

 

Sono le 6.02 pm e James è sul punto di alzarsi. Una massa di capelli confusi e arruffati raggiunge allora l’orizzonte di Trinity Street. Biondo cenere. Il colore potrebbe essere proprio il suo. L’epiglottide di James trova una tregua momentanea, e James se ne vergogna subito. Il biondo cenere è ovunque ormai, è il colore preponderante. Inoltre sono le 6.02 pm, sono 32 minuti di ritardo, e i miracoli non esistono.

 

La massa di capelli confusi si fa spazio tra la folla, avanza lungo Trinity Street. Al biondo cenere arruffato si unisce una bici trasportata a mano con ruota anteriore a terra. James è attonito. Una mano abbandona il manubrio e si leva in alto, svolazza. James è stato individuato ed anche salutato. James non è dunque un’anima persa. Lascia il suo muretto, abbandona la condizione di cane abbandonato.

Solo allora il suo sguardo si posa su quell’angolo di via. Solo allora nota il nome di quella stretta traversa. All Saints Passage. James ragazzo sicuro non confida nei miracoli, ma vuole ora credere che quel nome non sia un caso. Ringrazia di cuore tutti i santi, e con nuovo coraggio va incontro al suo pomeriggio.

All Saints Passage

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